La mancata prova dell’esborso per le riparazioni indicate nel preventivo non è idonea ad escludere il diritto al risarcimento
La “perdita subita”, con la quale l’art. 1223 cod. civ. individua il danno emergente,non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, ma include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il vinculum iuris, nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare.
Il ristoro pecuniario del danno patrimoniale deve normalmente corrispondere alla sua esatta commisurazione (artt. 1223, 1224, 1225, 1225, 1227 c.c.), valendo a rimuovere il pregiudizio economico subito dal danneggiato e restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, restituendo al patrimonio del medesimo la consistenza che avrebbe avuto senza il verificarsi del fatto stesso.
Esso deve essere pertanto determinato in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l’arricchimento laddove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro, sicché ciò che viene in rilievo è il danno effettivo.
La circostanza che non sia stato provato l’esborso per le riparazioni indicate nel preventivo non è idonea, di per sé sola considerata, ad escludere il diritto al risarcimento, incombendo – piuttosto – al giudice del merito il compito di verificare se i danni esposti potessero qualificarsi come effettivamente inferti al veicolo e, quindi, al patrimonio dell’attore per la necessità di porvi rimedio, quale conseguenza diretta e immediata del fatto dannoso per cui era causa (a prescindere dal fatto che il danneggiato abbia già fatto fronte agli esborsi per porvi rimedio).
Sono i principi richiamati e fatti propri dalla Corte di cassazione, Sezione 3 Civile, con l’ordinanza del 26 giugno 2024, n. 17670, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato con rinvio per nuovo esame la decisione resa in appello dal Tribunale di Sciacca con la sentenza n. 83 del 2022.
La vicenda
Nel 2016, Giulio Pompeo conveniva in giudizio l’Anas S.p.a. per ottenere il risarcimento dei danni materiali, oltre il fermo tecnico, subiti dalla propria autovettura in conseguenza del sinistro verificatosi lungo l’autostrada ‘A 29 Palermo-Mazara del Vallo’, a causa dell’improvviso attraversamento della corsia stradale da parte di un cane che impattava violentemente contro il veicolo.
Il Giudice di Pace di Partanna, con sentenza n. 33 del 2017, rigettava la domanda attorea perché riteneva non raggiunta la prova della riconducibilità dell’evento alla condotta omissiva del custode.
Il Tribunale di Sciacca, con sentenza n. 83 del 2022, rigettava l’impugnazione ritenendo, sulla base della ragione più liquida, non provato il danno asseritamente subito.
Avverso tale sentenza Giulio Pompeo ha proposto ricorso in Cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria.
I motivi di ricorso
E’ qui di interesse il secondo motivo, con il quale il ricorrente ha lamentato la violazione o falsa applicazione degli artt. 2056, 1223, 1226 e 2697 c.c., in relazione art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere il Tribunale, in funzione di giudice del gravame, respinto la sua richiesta risarcitoria per mancanza di prova del danno subito.
L’esistenza di tale danno, a suo dire, sarebbe dimostrata dal verbale di incidente stradale, che il giudice di appello avrebbe omesso di considerare, dal preventivo di riparazione del veicolo e dalla testimonianza raccolta in atti.
Danno che, relativamente al quantum, avrebbe dovuto essere liquidato in via equitativa, trovando l’art. 1226 c.c. applicazione non soltanto quando il suo ammontare sia impossibile, ma anche quando, come nel caso, sia particolarmente difficoltoso determinarlo.
La decisione in sintesi
La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 17670 del 2024, ha ritenuto il motivo fondato e ha accolto, in parte qua, il ricorso cassando con rinvio per nuovo esame la decisione impugnata.
La motivazione
Sul punto il Collegio ha precisato che la “perdita subita”, con la quale l’art. 1223 cod. civ. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, ma include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il vinculum iuris, nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare: così, tra le decisioni più recenti, Corte di cassazione 06/10/2021, n.27129; v. Corte di cassazione, 10/11/2010, n. 22826, e, conformemente, Corte di cassazione, 10/3/2016, n. 4718).
Si è, sotto altro profilo, posto in rilievo (v., da ultimo, Corte di cassazione, 5/2/2021, n. 2831) come risponda a principio consolidato che «il ristoro pecuniario del danno patrimoniale deve normalmente corrispondere alla sua esatta commisurazione (artt. 1223, 1224, 1225, 1225, 1227 c.c.), valendo a rimuovere il pregiudizio economico subito dal danneggiato e restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione (cfr. Corte di cassazione, 19/1/2007, n. 1183), restituendo al patrimonio del medesimo la consistenza che avrebbe avuto senza il verificarsi del fatto stesso» (v. già Corte di cassazione, 18/7/1989, n. 3352).
Esso deve essere pertanto determinato in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l’arricchimento laddove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro (v. Corte di cassazione, 8/2/2012, n. 1781), sicché ciò che viene in rilievo è il danno effettivo (cfr. Corte di cassazione Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Corte di cassazione, 12/6/2008, n. 15814).
Atteso che il danno patrimoniale (cfr. Corte di cassazione, 5/7/2002, n. 9740) si scandisce in danno emergente e lucro cessante, e ciascuna di queste “categorie” o “sottocategorie” è a sua volta compendiata da una pluralità di voci o aspetti o sintagmi [quali, ad esempio:
– il mancato conseguimento del bene dovuto o la perdita di beni integranti il proprio patrimonio, il c.d. fermo tecnico, le spese (di querela per l’avvocato difensore, per il C.T., funerarie, ecc.), avuto riguardo al danno emergente;
– la perdita della clientela, la mancata realizzazione di rapporti contrattuali con terzi, il discredito professionale, la perdita di prestazioni alimentari o lavorative, la perdita della capacità lavorativa specifica, la perdita della capacità lavorativa generica in conseguenza di lesione macropermanente, quanto al lucro cessante: v. Corte di cassazione, 14/7/2015, n. 14645; Corte di cassazione, 12/6/2015, n. 12211], i quali normalmente non ricorrono tutti sempre e comunque in ogni ipotesi di illecito o di inadempimento, sicché il relativo ristoro dipende dalla verifica della relativa sussistenza nello specifico caso concreto, spetta invero al giudice del merito accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative si siano verificate a carico del creditore/danneggiato e provvedere al relativo integrale ristoro (v. Corte di cassazione, 14/7/2015, n. 14645; Corte di cassazione, 13/5/2011, n. 10527; Corte di cassazione, Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972), con conseguente differente entità del quantum da liquidarsi al danneggiato/creditore nel singolo caso concreto.
È infatti necessario che, ove sussistenti e provati, tali voci o aspetti o sintagmi di cui la categoria generale del danno patrimoniale come detto si compendia vengano tutti risarciti, e nessuno sia lasciato privo di ristoro, nel liquidare l’ammontare dovuto a titolo di danno patrimoniale il giudice dovendo pertanto garantire che risulti sostanzialmente osservato il principio dell’integralità del ristoro, che come la Cassazione ha avuto modo di porre in rilievo non si pone invero in termini antitetici bensì trova correlazione con il principio in base al quale il danneggiante/debitore è tenuto al ristoro solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l’inadempimento a lui causalmente ascrivibile, l’esigenza della cui tutela impone anche di evitarsi duplicazioni risarcitorie (v., con riferimento al danno patrimoniale, Corte di cassazione, 14/7/2015, n. 14645; Corte di cassazione, 12/6/2015, n. 12211).
Pertanto, nella concreta vicenda in esame, avendo il ricorrente Giulio Pompeo presentato il preventivo e provato il danno, ha errato il giudice del merito dove ha ritenuto che “non può essere riconosciuta a parte appellante la somma di euro 3.509,85, non avendo questa fornito la prova di aver effettivamente sborsato tali somme ed essendosi limitata a produrre un preventivo di spesa per le riparazioni dell’auto. Né la prova testimoniale del legale rappresentante della carrozzeria che ha visionato il veicolo, chiamato a confermare di aver redatto il preventivo, può essere utile a fondare la domanda” (cfr. sentenza impugnata pag.3).
Di conseguenza, la circostanza che non sia stato provato l’esborso per le riparazioni indicate nel preventivo non è idonea, di per sé sola considerata, ad escludere il diritto al risarcimento, incombendo – piuttosto – al giudice del merito il compito di verificare se i danni esposti potessero qualificarsi come effettivamente inferti al veicolo e, quindi, al patrimonio dell’attore per la necessità di porvi rimedio, quale conseguenza diretta e immediata del fatto dannoso per cui era causa (a prescindere dal fatto che il danneggiato abbia già fatto fronte agli esborsi per porvi rimedio).
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