Le procedure di risarcimento previste nel nostro ordinamento, con particolare riferimento al sistema RC auto e alla normativa contenuta nel Codice delle Assicurazioni, sono contrassegnate da pesanti inefficienze e iniquità, tutte a discapito dei danneggiati.
Tra queste va senz’altro ricordato il sistema di risarcimento diretto, introdotto dalla famosa Legge Bersani e in vigore nel nostro paese da ormai sedici anni. Come abbiamo avuto modo più volte di ricordare, la procedura di risarcimento diretto è caratterizzata da una serie di intrinseche e fisiologiche contraddizioni interne che ne determinano l’incapacità di funzionare in modo efficiente. Anzi, il discusso e inutilmente complesso meccanismo di compensazione degli importi pagati dalle compagnie gestionarie costituisce, addirittura, un incentivo alla sottostima dei danni e ad una generalizzata iniquità del sistema.
Si tratta di questioni destinate a restare sconosciute al “grande pubblico”, perché difficilmente un non addetto ai lavori ha la possibilità di approfondire questi concetti. Nella maggior parte dei casi, nemmeno chi ha avuto un incidente stradale è in grado di conoscere effettivamente come funzioni il sistema risarcitorio.
E’ ancora frequente, infatti, l’abitudine di rivolgersi esclusivamente al proprio assicuratore in caso di sinistro, delegando a quest’ultimo l’apertura della pratica e restando in passiva attesa delle determinazioni univoche della compagnia.
E’ logico che, in uno scenario di questo tipo, l’impresa di assicurazioni ha gioco facile nello sfruttare a proprio vantaggio la pressoché totale ignoranza della materia del danneggiato e la conseguente, inevitabile, asimmetria informativa. Ed è per questo che esistono professionisti specificamente preparati, capaci di colmare il divario tra danneggiato e compagnia e in grado di stabilire un adeguato contraddittorio con quest’ultima.
Senza avere piena consapevolezza di questo scenario sarebbe impossibile comprendere le ragioni che muovono le compagnie di assicurazione quando propongono liquidazioni inique ai danneggiati, pur consapevoli che il risarcimento dovuto sarebbe superiore.
Hanno questo atteggiamento proprio perché nella stragrande maggioranza dei casi sanno che le controparti accetteranno senza battere ciglio le loro decisioni, magari convinte che la compagnia disponga della verità assoluta se non, ancora più ingenuamente, che abbia comunque a cuore i loro interessi, in quanto clienti.
La politica delle compagnie di sottostimare i danni, di offrire in risarcimento cifre sempre al ribasso negando voci di danno sacrosante si basa su una mera ragione statistica: se anche un danneggiato su dieci si permette di mettere in discussione il risarcimento ottenuto, magari fino al punto di portare la questione in giudizio affinché sia un giudice terzo a stabilire il reale importo dovuto, la compagnia ha vinto lo stesso.
Perché se anche una volta su dieci ci sarà un giudice che dirà che quella proposta risarcitoria non era adeguata, condannando la compagnia non solo a riconoscere la differenza rispetto a quanto liquidato precedentemente, ma anche tutte le spese legali, ci saranno altre nove liquidazioni nelle quali la compagnia ha risparmiato giocando sull’ignoranza e spesso sul “timore reverenziale” del proprio interlocutore.
Questa sorta di “convinzione” che la compagnia abbia sempre ragione e che, in fondo, non avrebbe nessun interesse a perdere un cliente non liquidandogli il giusto è talmente permeata nell’opinione pubblica che soltanto grazie all’assistenza di un esperto in materia un danneggiato è in grado di aprire gli occhi.
Spesso patrocinatori ed esperti in risarcimento danni sono chiamati a spiegare ai propri clienti i meccanismi sopra accennati, perché per l’assicurato che paga il premio ogni anno risulta difficile capire che contestare la liquidazione offerta dalla compagnia non significa cercare di lucrare o di chiedere avidamente “di più”, ma soltanto pretendere quanto spetta. Per legge.
Ed è paradossale che il danneggiato abbia timore di pretendere il giusto. Che abbia paura di essere additato (e con lui anche il professionista che lo tutela) come l’avvoltoio che vuole a tutti i costi qualcosa che non gli spetta e che approfitta del sinistro per arricchirsi.
Ma se è ancora viva e presente questa falsa credenza, non significa che questa battaglia le compagnie l’abbiano già vinta. E’ possibile ancora ripristinare la verità.
Sarebbe sufficiente iniziare a chiamare la compagnia alla quale ci rivolgiamo per pretendere il risarcimento con la sua qualifica specifica: “debitore“. Se si cominciasse a considerare la compagnia come nostra debitrice e noi come suoi creditori, cambierebbe senz’altro anche la nostra struttura mentale.
Quanti creditori lascerebbero, senza battere ciglio, che sia il proprio debitore a stabilire se, quanto e quando pagare il proprio debito?
Quanti creditori, di fronte ad un pagamento insoddisfacente, scrollerebbero le spalle convinti che il loro debitore sia stato comunque giusto ed equo nello stabilire univocamente e senza contraddittorio che quella sia la somma giusta?
Un cambio di prospettiva come questo è senz’altro auspicabile per sollevare finalmente la testa e rendersi conto che fare valere i propri diritti è non solo necessario per gli interessi di ciascuno, ma è addirittura un dovere civico affinché il sistema risarcitorio possa aspirare a diventare più equo nei confronti di tutti i cittadini.
fonte: LeggiOggi
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